Dopo una vita dominata dalla passione per le invenzioni e la ricerca, il signor Bellia, pensionato siciliano, 65 anni, sostiene di aver scoperto la soluzione delle equazioni all'ennesima, riuscendo là dove avevano fallito i più illustri matematici della storia, dal celebre Tartaglia fino a Isacco Newton.
Equazioni di grado superiore al quarto? Risolte. Trovata la formula che ha fatto dannare i grandi matematici del passato. Al traguardo arriva un pensionato che applica la "matematica della volontà" e sostiene di avere sbaragliato i migliori cervelli che nei secoli si sono arrovellati intorno a questo interrogativo: come è possibile trovare le cinque, sei, venti, "n" soluzioni di un'equazione rispettivamente di quinto, sesto, ventesimo, ennesimo grado? «E' impossibile», hanno detto i grandi scienziati, da Cardano a Tartaglia, a Newton, ad Abel.
Ma Nicolò Giuseppe Bellia, 65 anni, nato a Menfi (Agrigento), residente a Ladispoli, costruttore in pensione, dice di aver trovato la formula: un procedimento di calcolo che risolve le equazioni di grado "n". La matematica ufficiale finora lo ignora, non prende atto della sua scoperta. Ma a Bellia poco importa: «Per me parlano i fatti: datemi una qualsiasi equazione, applicate le mie formule, e troverete le soluzioni, reali o immaginarie, provare per credere. Di fronte alle soluzioni, verificabili, cos'altro c'è da aggiungere?». Deciso a non chiedere riconoscimenti ufficiali, il matematico autodidatta e senza laurea, che ha lavorato per trent'anni ed è riuscito dove si erano arresi i grandi nomi, adesso regala a tutti le sue "formule Bellia". Le potrete, infatti, trovare su Internet alla pagina http://www.bellia.com . Sono a disposizione di tutti: studenti, professori, curiosi. «Nel giro di pochi giorni ho avuto migliaia di contatti e di richieste, ho consegnato circa novecento programmi. Basta entrare nella pagina, digitare il proprio nome e cognome, e si riceverà per posta elettronica il programma di soluzione. Non mi interessa vendere le mie formule, i miei teoremi, li offro a quanti li chiedono per uso personale o per scopi didattici, a me basta la soddisfazione di sapere che il mio prodotto serve, che viene usato. La matematica ufficiale? Sa dove trovarmi, ma finora mi sento intorno un'aria di sufficienza: ho inviato le formule alla rivista Calculus di Pisa e non ho avuto risposta». Equazioni di grado "n", bestia nera da secoli. Al centro di contese matematiche, sfide, furti di idee, liti e ripicche. Siamo nel 1535, e in quel momento gli studi sono fermi alla soluzione delle equazioni di primo e secondo grado. E' il "grande balbuziente" bresciano Niccolò Fontana, soprannominato Tartaglia, che, in occasione di una sfida matematica con Giovanni Maria Fiore, dimostra di essere arrivato alla soluzione dell'equazione di terzo grado. Ma Tartaglia commette un errore: si lascia sfuggire una parte della regola parlandone in confidenza e sotto il vincolo del segreto con Gerolamo Cardano, altro scienziato del tempo, pavese.
Uno sgambetto fra matematici e dieci anni dopo, nel 1545, Cardano pubblica il suo Ars Magna in cui appare per la prima volta non solo la formula di soluzione delle equazioni di terzo grado, ma anche quella delle equazioni di quarto grado scoperta da un suo allievo. Ludovico Ferrari. La polemica esplode feroce. Tartaglia parla di furto, nega originalità alle soluzioni dell'ex amico (definite "cardaniche"), difende la priorità della sua scoperta. Comunque sia, la prima metà del Cinquecento vede le equazioni risolte fino al quarto grado. Da allora c'e uno stop. Il quinto grado sembra insormontabile. Ci studiano in tanti, nel primo Settecento si fa avanti perfino il signore della gravitazione universale, Isacco Newton. Nulla di fatto. Passa un secolo, l'ultima parola la dice nel 1824 il norvegese Niels Abel, che mette fine alle ricerche dimostrando l'impossibilità di risolvere le equazioni di grado superiore al quarto. Il caso equazioni sembra chiuso, fino a quando non compare Nicolò Giuseppe Bellia, che con Newton qualcosa in comune ha: l'abilità nella costruzione di giocattoli e strumenti meccanici. A undici anni costruisce accendini a domicilio con quel che trova in casa: «C'era la guerra», ricorda, «scarseggiavano gli zolfanelli, la gente mi pagava con uova che portavo trionfante a mia madre». A dodici anni, giocando ad archi e frecce con le stecche degli ombrelli, mira ai fili elettrici, si diverte a provocare scintille e fa piombare il buio nell'unico cinema di Menfi. E' il 1943, la famiglia Bellia si trasferisce nel Lazio al seguito del padre costruttore; Nicolò legge, studia, lavora, costruisce edifici con il padre, realizza una calcolatrice tascabile, la brevetta, «basata sui bastoni di Nepero da me riscoperti e successivamente prodotta e messa in commercio con il nome di Eulog». Produce e vende saldatrici, è il pioniere del passaggio dalle batterie al piombo alla "Litobatteria". Programma computers «fin dall'uscita del primo PC Olivetti» e con uno di tali PC, negli anni '70, realizza un programma di progettazione delle strutture in cemento armato che «in venti minuti forniva i progetti esecutivi dei suoi elementi, pronti per ferraioli e carpentieri». Lavora alle equazioni, ma soprattutto sogna quello che conta di realizzare intorno al Duemila: un cuore per auto «motore rotativo senza attrito e lubrificazione, che scoppia a pressione atmosferica e non dà ossido di azoto». Chiodo fisso, fin da ragazzino, le imprendibili equazioni di grado "n". Fogli e fogli di prove, calcoli, tentativi, notti di studio, poi l'intuizione, «partendo dall'impossibilità teorizzata da Abel, ho applicato la matematica della volontà, ho immaginato una generica equazione in un sistema di assi e mi sono detto: se riesco con le mani a farla passare per l'origine degli assi, la quantità di spostamento è la prima soluzione... Questo l'inizio del ragionamento. Quando ho capito di essere vicino alla vittoria sono rimasto una settimana imbambolato, forse avevo toccato una vetta irraggiungibile, mi svegliavo la notte e mi dicevo: io dopo Abel...».